giovedì 20 novembre 2014

Un'infarinata di funzioni cognitive -parte 1-

In questi ultimi tempi, mi sono ritrovato per necessità a dover un po' rispolverare le mie vecchie conoscenze universitarie.
Io sono laureato in Neuropsicologia e, dopo la Laurea, ho partecipato ad uno studio poi pubblicato sulla rivista scientifica Stroke riguardante la riabilitazione di un disturbo cognitivo chiamato Eminegligenza Spaziale Unilaterale, o per gli amici Neglect (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19246708).
Senza entrare nello specifico di questo disturbo che è anche un po' complicato sia da spiegare che da comprendere, se non si ha dimestichezza con almeno le basi della Neuropsicologia e della Psicologia dei Processi Cognitivi (e non è certo mio intento tenere una lezione via blog), avrei semplicemente piacere di far conoscere in maniera assolutamente generica e divulgativa questa branca del sapere umano, perché ritengo che apprendere un po' come funziona quella roba molliccia che sta in mezzo alle ossa della nostra testa potrebbe essere una buona cosa anche per un lettore medio. O quantomeno affascinante. Chiariamo: non intendo creare una specie di vademecum per l'autodiagnosi, né trattare gli argomenti in maniera approfondita e rigorosa come fosse una lezione all'università. Lo ripeto: è solo divulgazione, quindi non adoperate alcuno di questi post né per verificare il vostro buon funzionamento cognitivo, né tantomeno per valutare quello degli altri. Quello che andrò a proporre è solo un'infarinatura e non è assolutamente sufficiente a fare niente che non sia acculturarsi un po' rispetto a cose che non si conoscevano. Un po' come guardare una puntata de La Storia dell'Universo su Focus Tv. Non è che dopo aver visto la puntata siete diventati improvvisamente astronomi.

Occhei, stabilito questo, partiamo dalle basi: che cos'è la Psicologia Cognitiva?
La Psicologia Cognitiva è quella branca della psicologia che studia il funzionamento dei processi cognitivi (linguaggio, memoria, attenzione, ecc..) attraverso lo studio dei soggetti sani quando si cimentano in test specifici che valutano i parametri delle varie funzioni sia prese singolarmente che nelle loro interazioni. Per esempio, se la maggior parte di un certo numero di soggetti presi a campione a cui viene chiesto di memorizzare una sequenza numerica casuale è in grado di ricordare in media n elementi di quella sequenza, allora posso concludere che la capacità media di un soggetto sano di ricordare una sequenza vista solo una volta è di n elementi. Troppo oscuro? Riprovo... prendiamo 100 persone. Ad ognuna di queste 100 persone leggo una sequenza casuale di numeri e poi chiedo loro di ripeterla subito. Per ogni soggetto inizio con una sequenza di 2 elementi, poi di 3, poi di 4, poi di 5, poi di 6, ecc... e mi fermo quando il soggetto non riesce più a ricordare correttamente tutti gli elementi di una sequenza, e dico, per esempio: il soggetto X ricorda correttamente sequenze fino a 6 elementi. Poi proseguo nello stesso modo con gli altri soggetti e alla fine scopro che: il soggetto Y arriva a 7, il soggetto Z a 5, il soggetto Q a 9, ecc... Ricavate le misure per tutti i soggetti faccio la media e dico che la capacità media dei soggetti di memorizzare una sequenza di items numerici nel breve termine è pari al valore medio che ho misurato nel mio esperimento (con un margine di tolleranza di circa due elementi in cui si rientra comunque nella normalità). Naturalmente non è così semplice, la procedura è molto più complessa perché bisogna tenere in considerazione molti fattori, ma come dicevo è solo per fare un esempio.
Al che uno potrebbe dire: beh, si, embé? A che serve scoprire che un soggetto sano riesce a ricordare circa tra i 5 e i 9 elementi di una sequenza numerica? Serve, serve eccome. Perché mi da un parametro di confronto. Mi da il termine di paragone del funzionamento normale di quella funzione cognitiva, che quindi mi servirà per verificare se a seguito di un danno quella funzione è preservata o no. Semplifico: se so che il range mnemonico normale è tra i 5 e i 9 elementi di una sequenza, posso dire che se un paziente ne ricorda solo 4 o addirittura meno, la sua capacità di memoria a breve termine si pone al di sotto della normalità e quindi li ci sarà probabilmente qualcosa che non funziona più tanto bene che vale la pena indagare più approfonditamente.
Lo stesso metodo si applica per tutte le altre funzioni cognitive, utilizzando sempre un approccio scientifico che rende i risultati delle misurazioni affidabili, perché statisticamente validi, metodologicamente probanti e soprattutto replicabili.

Detto della Psicologia Cognitiva, cos'è invece la Neuropsicologia?
La Neuropsicologia così come la Psicologia Cognitiva si prefigge di studiare il funzionamento dei processi cognitivi e delle strutture neuronali che li sottendono. Ma anziché misurarli nei soggetti sani, ne osserva i malfunzionamenti nei soggetti colpiti da danno cerebrale. I Neuropsicologi sono quindi degli scienziati pazzi, senza cuore e compassione, che approfittano delle disgrazie altrui per portare avanti le loro speculazioni? Certo che no. Non tutti almeno... :-D.
Semplicemente, questa metodologia d'indagine permette di concludere che, se io osservo che pazienti che hanno subito un danno alla stessa area cerebrale mostrano tutti la perdita della stessa funzione, significa che quell'area con un'altissima probabilità sottenderà proprio a quella funzione. E grazie ar caz.... verrebbe da dire, no? Beh, no. Cioé, un po' si. Ma la conlcusione, se può sembrare banale da un punto di vista sillogistico, non lo è per niente per le implicazioni pratiche che porta con se e le prospettive di intervento che apre.
Perché attraverso queste osservazioni posso mappare il cervello in zone e circuiti, ognuno dei quali so fare capo a una determinata funzione cognitiva e il tutto con una precisione affidabile. Per cui posso arrivare a dire, con una certa precisione, che una determinata funzione viene svolta dalle strutture presenti proprio in quell'area, tanto che tutte le volte che queste strutture vengono danneggiate verrà sistematicamente compromessa sempre quella funzione. E questo è un grande vantaggio, anche in termini riabilitativi. Perché se so che per una determinata funzione partecipano zone diverse che sottendono ad aspetti diversi della stessa, qualora una di queste aree venga lesa potrò provare a sfruttare le altre per vicariare almeno in parte il ruolo che veniva svolto da quella ormai danneggiata.
E qui, si apre il secondo ed altrettanto importante capitolo della Neurospicologia: la riabilitazione. La Neuropsicologia si occupa infatti non solo di studiare quali funzioni si perdono in seguito a determinati danni strutturali, ma di sperimentare metodi per riabilitare in toto o in parte le funzioni perse in seguito a danno cerebrale e lo fa basandosi su due principi: la capacità di vicarimento da parte delle aree circostanti ed interconnesse a quella danneggiata e la plasticità cerebrale. Sono due concetti sensibilmente diversi ma funzionalmente adiacenti. Nel prossimo post dedicato a questi argomenti tenterò di spiegare a cosa fanno riferimento.

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