mercoledì 26 novembre 2014

Un'infarinata di funzioni cognitive -parte 2-

L'altra volta ho spiegato a grandi linee cosa sono le funzioni cognitive, quali branche della psicologia le studiano e tramite quali metodi.
Avevo terminato il post accennando a due concetti essenziali quando si parla di neuroscienze: il vicariamento e la plasticità cerebrale.
Parto però dall'ultima, perché, diciamo, è propedeutica all'altra.
Per plasticità cerebrale s'intende la capacità della strutture cerebrali di riorganizzarsi a seguito di un evento che ha mutato e perturbato il normale funzionamento del sistema.
Quando il nostro cervello si sviluppa, nell'infanzia, le varie strutture cerebrali si organizzano e si specializzano secondo un codice prefissato scritto nei nostri geni. Se nulla perturba questo processo, il cervello nell'adulto si formerà secondo la classica distribuzione in aree e circuiti.
La specializzazione delle varie aree cerebrali tuttavia, non viene determinata solo dal codice genetico, ma anche dalla necessaria stimolazione da parte dell'ambiente esterno. Quindi, per esempio, le aree della corteccia visiva primaria si sviluppano correttamente se non vi sono anomalie genetiche ma anche se l'individuo può accedere alla normale stimolazione visiva da parte dell'ambiente circostante. Lo stesso vale per le aree uditive, per quelle somatosensoriali, le olfattive... quelle dedicate al linguaggio... tutte, in pratica. Ma cosa succede se durante questo sviluppo capita un evento che ne impedisce la normale evoluzione?
In letteratura si possono trovare numerosi esempi di esperimenti fatti in anni passati sugli animali abbastanza cruenti, che proprio per via della loro durezza e della mutata sensibilità comune circa l'impiego di animali per esperimenti di laboratorio tralascerò. Diciamo, rimanendo sul generico, che non avendo possibilità all'epoca di intervenire sul patrimonio genetico con la selettività di oggi, ci si è basati su prove di deprivazione sensoriale. Si è visto che se io impedisco ad un determinata area di usufruire di una corretta stimolazione durante il suo sviluppo, la sua specializzazione e il suo funzionamento ne risulteranno alla fine alterati.
Un esempio più politically correct lo si può fare proprio con il linguaggio e senza scomodare studi dai complicati assunti metodologici. Basta citare i casi dei "figli della foresta" o, per bussare alle porte della letteratura, il Mowgli de Il Libro della Giungla di Rudyard Kipling. Sono esempi di deprivazione sensoriale in ambito etologico. Non c'è nessun intervento da parte di nessuno sperimentatore, semplicemente si osserva che nei casi in cui gli individui siano privati della normale stimolazione linguistica, questi non saranno in grado di sviluppare sufficientemente le strutture dedicate a questa funzione e non è solo una questione di lingua che si parla. Se determinate strutture fonetiche non si acquisiscono entro una certa età, il cervello non sarà più in grado di svilupparle con la stessa efficienza. Questo perché la plasticità cerebrale ha dei limiti e, soprattutto, tali limiti si fanno più stringenti all'aumentare dell'età dell'indivuduo.
Non è solo una questione che da giovani si reagisce meglio, anzi, non è per niente questo genere di questione. E' invece perché più il cervello è indifferenziato, non specializzato e non del tutto sviluppato, più è plastico. Quando si nasce di strutture cerebrali già specializzate ce ne sono poche, pochissime anzi. Quindi ogni area è ancora tutta da determinare, rifinire, da plasmare: c'è spazio per tantissimi cambiamenti e variabili possibili.
In età adulta invece, quando le aree sono ormai stabilmente dedicate a sottendere una determinata funzione, sarà più difficile se non impossibile che un'area abbandoni la sua funzione primaria per sottenderne un'altra.
Ed entrambe le situazioni hanno vantaggi e svantaggi.

Un cervello giovanissimo e quindi molto plastico sarà in grado di riorganizzarsi a volte in maniera da non lasciare traccia dell'accaduto, anche in seguito ad un evento estremamente traumatico. Sono riportati in letteratura tristi casi di neonati a cui, per l'insorgere di una neoplasia o per un difetto genetico, è stato asportato un intero emisfero cerebrale o sono addirittura nati senza. Tuttavia, lo sviluppo intellettivo e cognitivo col passare degli anni è avvenuto in modo soprendentemente normale. D'altro canto un cervello molto plastico sarà anche un cervello più facilmente perturbabile. Se per esempio ne viene alterato il metabolismo cellulare da sostanze tossiche o nei casi di forte deprivazione sensoriale. In questi casi lo sviluppo non potrà seguire il normale iter e ne risulterà un'organizzazione diversa da quella considerata "normale".

Un cervello adulto, formato e specializzato, al contrario, sarà da un parte meno sensibile alla deprivazione sensoriale ma sarà anche meno (moooolto meno) in grado di riorganizzarsi a seguito di un danno cerebrale, proprio per via della sua definitiva "compartimentazione". Seppure una certa parte di plasticità viene conservata anche in età adulta.

E qui si può incominciare ad introdurre il secondo concetto, il vicariamento.
Per vicariamento s'intende la capacità di una determinata area sana di supplire in toto o in parte alla funzione sottesa in origine da un'altra area cerebrale che è stata improvvisamente lesa. L'esempio più classico è quello di un evento vascolare in seguito al quale una determinata area è stata disattivata. Se le funzionalità di quell'area non possono più essere ripristinate, le aree circostanti possono riorganizzarsi per tentare di ristabilire almeno in parte la funzione persa, e questo può avvenire in maniera spontanea entro una certa misura ma più efficacemente in seguito ad un trattamento riabilitativo che mira a stimolare continuamente questa riorganizzazione.
E' a questo punto evidente che la conoscenza dei circuiti neuronali è fondamentale a questo scopo, perché se so quali aree sono interconnesse tra loro per sottendere ad una certa funzione, potrò verificare quali parti di questo circuito sono preservate e quindi concentrarmi, durante la riabilitazione, sulla stimolazione di quelle. E qui bisogna evidenziare un'altra differenza fondamentale tra un cervello estremamente giovane e quello di un adulto.
In un cervello infantile, non già specializzato e segregato nelle sue compartimentazioni funzionali, a seguito di un danno, una determinata funzione potrà essere vicariata anche da aree "territorialmente" molto distanti da quella in origine designata geneticamente. Dicevamo sopra di bimbi privati di un emisfero emisfero cerebrale. Sono noti casi in cui l'emisfero perso era il sinistro e i soggetti sono diventati destrimani, in cui quindi i centri del linguaggio si sarebbero con altissima probabilità specializzati nell'emisfero venuto a mancare (non scendo in ulteriori particolari, basti sapere che è così che avviene nel quasi 100% dei destrimani), che tuttavia sono riusciti a sviluppare una funzione linguistica del tutto normale. Questo perché quando la plasticità è alta anche le possibilità di vicariamento lo sono e, nel caso sopracitato, le strutture si sono riorganizzate "spostando" lo sviluppo delle aree linguistiche nell'unico emisfero disponibile.
Al contrario, in un soggetto adulto, solo aree territorialmente vicine e già interconesse potranno vicariare la funzione persa e comunque, quasi sempre, solo in parte. Però, se il danno non è troppo esteso, la parte recuperata potrà comunque ridare al soggetto una soddisfaceente padronanza e restituirgli la sua autonomia.
Quindi, il vicariamento, se le aree interconnesse con quella danneggiata rimangono sane, è sempre possibile? No, purtroppo. Determinate funzioni, particolarmente complesse, se vengono perse non possono essere riabilitate nel senso più stretto del termine, che intende come restituirle al paziente. In questo casi si può solo insegnare al paziente come compensare la funzione persa mettendo in atto strategie di aggiramento del deficit.
L'esempio più classico che si fa in Neuropsicologia è la perdita della memoria a lungo termine. Questa funzione, se persa, non può essere riabilitata. Quel che si può fare è addestrare il paziente ad utilizzare supporti fisici (calendari, agende elettroniche, dispenser a tempo per le medicine da prendere, ecc...) che, in qualche modo ed azzardando un po', "ricordino" per lui.
Oh, sia chiaro, il termine addestrare è utilizzato comunemente in riabilitazione e non ha nessun significato dispregiativo. Fa riferimento alle tecniche di insegnamento che cercano di fare apprendere al soggetto determinate procedure in modo da attuarle poi nella maniera più automatica possibile quando si troverà reinserito nella quotidianità. Questo perché una procedura appresa ed automatizzata sarà molto più semplice da mettere in pratica di una che tutte le volte va pensata e pianificata.
Bene, direi di terminare qui la seconda parte riguardante questa specie di introduzione alle Neuroscienze. Nell'ultima, che tratterò nel prossimo post, direi di parlare nella maniera più semplice possibile dello sviluppo cerebrale e di come e dove determinate funzioni si situano in determinati distretti cerebrali.

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